Mutui USA: chiesti alle banche 50 miliardi $ di rimborso

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Lo abbiamo detto più volte ma non abbiamo alcun timore nel ripeterlo qui, ora: la crisi economica mondiale è cominciata con i mutui, dal momento che è proprio da una serie di investimenti su prodotti finanziari legati a mutui a rischio che è esploso il bubbone del collasso e della cattiva finanza (che poi è ricaduto sull’economia reale), e dovrà finire con i mutui, ossia con un piano di salvataggio e di recupero che possa arrestare i problemi del mercato immobiliare e “svuotare” le banche da quell’enorme portafoglio di immobili di cui si sono ritrovate padrone pur nell’impossibilità di ricollocarlo, dal momento che ad oggi sono in pochi a potersi permettere questo genere di investimento.

Morale della favola: qualcuno deve pagare. Scoccia sapere che, in ultima analisi, questo qualcuno saremo ancora noi risparmiatori, leva privilegiata per tutte le forme di salvataggio della storia recente e passata; se non altro, però, possiamo consolarci considerando che si sta cercando un capro espiatorio nelle banche, almeno se spostiamo la nostra lente d’ingrandimento sulla situazione degli Stati Uniti. Saranno infatti alcune tra le maggiori banche degli States a dover sborsare (chiaramente, solo dopo averli “munti” alla clientela con chissà quale nuova gabella) 50 miliardi di dollari per riacquistare mutui insolventi.

Bank of America, Wells Fargo e altri grossi istituti finanziari, potrebbero essere infatti costretti nei prossimi giorni dalle agenzie governative (divenute tali solo dopo l’esplosione della crisi, dal momento che sono state salvate dal Governo Federale) Freddie Mac e Freddie Mae ad assumere il controllo di ulteriori prestiti insolvibili, così da agevolare il lavoro del Tesoro nell’immane piano di salvataggio dell’economia americana (siamo ancora in una fase in cui si è costretti a “giocare” coi cambi per agevolare l’export dal momento che la domanda interna non è ancora ripartita). L’indiscrezione è trapelata da Chris Whalen, ex membro della Federal Reserve, durante una “confessione” al quotidiano New York Post.